Nella tradizione occidentale san Girolamo, traduttore della Bibbia, è il principe dei filologi.
Dalla solitudine del suo studio si dedica all'impresa immane di trascrivere, collazionare, tradurre il Libro dei Libri: eppure, nonostante l'opera gigantesca che gli assorbe totalmente la vita e la vista, l'intelletto e la mano, egli non è estraneo alle cose del mondo. Quando un leone, compagno della sua solitudine studiosa nella Tebaide, si presenta a lui sofferente per una spina nella zampa, Girolamo lascia la studiosa applicazione per volgersi a dare sollievo all'animale che soffre. Così, per metafora, la filologia dimostra attraverso il santo-traduttore la sua possibilità originale, anzi la sua vocazione, a farsi distrarre dai compiti studiosi per dare rimedio al dolore del mondo